Sul testo
La vita di Giulio Cesare Croce
Le sottilissime astuzie di Bertoldo (1606)
Un caso particolare – uno dei pochissimi testi di autentica estrazione popolare della nostra letteratura – è rappresentato da Le sottilissime astuzie di Bertoldo (1606) e Le piacevoli e ridicolose semplicità di Bertoldino (1608), del fabbro e cantastorie bolognese Giulio Cesare Croce. Di ambientazione medievale, i racconti sono incentrati sul personaggio di Bertoldo, un contadino semplice e astuto, e sulle sue avventure. Capitato alla corte del re longobardo Alboino, ne suscita grande divertimento e interesse per la vivacità, la prontezza e l’arguzia del suo ragionare.
Attraverso la figura di Bertoldo, della moglie Marcolfa e del figlio Bertoldino, Croce esprime l’aspetto giocoso, carnevalesco e potenzialmente trasgressivo del mondo popolare cui dà voce, una voce che così rivela la presenza di una realtà sociale che contesta o perlomeno resta indifferente al clima culturale della Controriforma.
L’ispirazione e l’ideologia popolare si riflettono naturalmente nelle scelte espressive con l’uso di un registro linguistico volutamente basso e di una lingua commista di italiano e dialetto bolognese. Da annotare un altro dato “ideologico”: il rovesciamento e il riscatto della tradizionale immagine del contadino rozzo e sciocco, la «inversione della satira contro il villano» (D. Merlini).
La saga, di immediato successo, venne subito ripresa e proseguita da Adriano Banchieri (1568-1634), che la arricchì con la presenza di un nuovo personaggio, Cacasenno, nipote di Bertoldo.
La divulgazione e la diffusione tra il popolo di questi racconti è proseguita fin quasi ai nostri giorni e ha offerto materiale anche per versioni teatrali e cinematografiche.