Mario Luzi, Avvento notturno (1940)
L’attività poetica di Mario Luzi (1914-2005), è radicata in Firenze, città i cui è nato e ha trascorso gran parte della vita. Formatosi nel clima dell’Ermetismo fiorentino di matrice cattolica, esordisce a ventun anni con il volumetto di poesie La barca, ove si manifesta la ricerca di una poesia pura, intesa come esplorazione di una verità metastorica e insieme espressione di una volontà di assenza, cioè di distacco dal mondo e dalle sue passioni: la barca diventa simbolo di una separatezza che consente di guardare a distanza, dall’alto:
Amici ci aspetta una barca e dondola
nella luce ove il cielo s’inarca
e tocca il mare
[...]
noi siamo in terra
ma ci potremo un giorno librare
esilmente piegare sul seno divino
Amici dalla barca si vede il mondo
e in lui una verità che procede
intrepida, un sospiro profondo
dalle foci alle sorgenti.
Se in questa prima raccolta si mescolano echi petrarcheschi e richiami alla mistica o al Simbolismo francese, uno sviluppo interessante si osserva in quella successiva – Avvento notturno del 1940 – che sin dal titolo fa registrare un turbamento della fiduciosa speranza (espressa in La barca) di poter decifrare da lontano i segni della trascendenza nascosti, o approdare dopo lunga navigazione a qualche meta:
Era questa la vita? Caravelle
vagabonde di sé scaldano i mari,
barche nuziali rompono gli ormeggi:
terra, terra su legni confidenti
navigare i tuoi fiumi entusiasti.
[...]
Verso dove? S’annuvolano i corvi
e il fuoco langue.
In seguito, la poesia di Luzi risente della pressione di un contesto storico sempre più drammatico, come nel poemetto Un brindisi, scritto nel 1941, che dà il titolo a un volume del 1946 («silenzio della terra, bocche, bocche / cucite dalle lacrime: e la morte / chiusa e configurata nel silenzio / della fronte dell’uomo sotto il cielo compatto»).
Infine, nella seconda metà del secolo si apre maggiormente alla realtà contemporanea, pur conservando al poeta la funzione quasi sacrale di “testimone muto” del suo tempo.