Federigo Tozzi, Con gli occhi chiusi (1919)
Nel secondo decennio del Novecento il senese Federigo Tozzi (1883-1920) produce nei suoi tre romanzi una narrativa di grande novità: a partire da personaggi e situazioni classiche del Naturalismo (gli umili, i diseredati e l’ardua lotta per la “roba”), l’autore sviluppa una riflessione sul significato dell’esistenza umana: eventi banali, come un’eredità contesa all’interno di una famiglia o il fallimento di un’impresa commerciale diventano allegoria delle difficoltà esistenziali dell’uomo del Novecento.
Una matrice autobiografica è riconoscibile in Con gli occhi chiusi (1919), ove campeggia il conflitto del protagonista con il padre che sa far soldi e difendere la proprietà conquistata con un duro lavoro, mentre il figlio sembra vivere «con gli occhi chiusi» in una sorta di disadattamento. Nel postumo Il podere, il giovane impiegato Remigio eredita dal padre un terreno, ma si rivela inadatto a gestire l’eredità e a proteggerla dall’avidità dei parenti e dal malaffare degli avvocati, sinché è travolto dalla rovina economica e ucciso in una lite da un contadino. Infine in Tre croci (1920) la figura dell’inetto si moltiplica in tre fratelli, anch’essi incapaci di difendere il loro piccolo patrimonio (una bottega di libri antichi): per procrastinare il fallimento, falsificano la firma di un amico che li ha garantiti presso una banca, ma presto il processo, la vergogna e la morte a breve distanza l’uno dall’altro (le «tre croci») pongono termine alla squallida vicenda.