Sul testo
La vita e le opere di Oscar Wilde
Il ritratto di Dorian Gray (1891)
Nel Ritratto di Dorian Gray (The picture of Dorian Gray, 1891) di Wilde – autore che nella vita mondana londinese era divenuto esempio vivente dell’esteta dai comportamenti eccentrici – prende forma la figura del dandy che già si era affacciata in Baudelaire: attraverso un’estenuante ricerca estetica e la costruzione di un’immagine gratificante di sé – libera da condizionamenti morali – si afferma il valore del corpo e delle apparenze, non più conformate al grigiore borghese ma esibite con spavalda determinazione.
Il tema del narcisismo si esprime nello sdoppiamento tra il protagonista, Dorian Gray, non soltanto giovane e ricco, ma di straordinaria bellezza, e il suo ritratto dipinto, che gli è profondamente somigliante e che per un misterioso sortilegio, o per una sorta di patto col diavolo, è destinato nel tempo a registrare i segni dell’invecchiamento, mentre Dorian conserva intatta la propria giovinezza, nonostante i vizi, i delitti e i rimorsi. Egli dapprima nasconde il ritratto e infine pentito – o stanco di esperienze che non lo appagano più – lo colpisce con il medesimo pugnale con cui ne ha ucciso il pittore: i domestici accorsi si trovano di fronte a un cadavere dal «viso avvizzito, rugoso, repellente» e a «uno splendido ritratto del loro padrone quale l’avevano veduto l’ultima volta, mirabile di gioventù».