Francesco De Sanctis, La Storia della letteratura italiana (1871)

Nel 1870 esce a Napoli una Storia della letteratura italiana «ad uso dei licei»: ne è autore Francesco De Sanctis (1817-1883), figura fondamentale del Risorgimento laico e liberale, che per motivi politici ha conosciuto le carceri borboniche e l’esilio a Torino e a Zurigo e che ha continuato il suo impegno anche dopo l’Unità, come deputato e ministro della Pubblica Istruzione. Non mancavano i precedenti dell’opera di De Sanctis: altri avevano scritto storie della letteratura con diversi orientamenti, da Giovanni Crescimbeni (autore dell’Istoria della volgar poesia, del 1698) a Girolamo Tiraboschi (Storia della letteratura italiana, 1772-1781), sino all’opera più recente di Cesare Cantù, del 1865, ispirata a una rilettura della storia d’impronta clericale. Se i materiali di erudizione del testo di De Sanctis non appaiono nuovi (e in larga parte derivano dalle compilazioni settecentesche), del tutto nuova è la concezione che lo ispira, e in particolare il rapporto che stabilisce fra letteratura e storia della nazione: egli propone una storia di «ciò che si move nel pensiero italiano», e quindi una storia etico-politica fondata su giudizi di valore ispirati agli ideali risorgimentali. Per il patriota De Sanctis si tratta in sostanza di «una missione da compiere» offrendo all’Italia un’identità culturale e morale, tratta dall’opera dei suoi scrittori

La letteratura italiana in venti capitoli

Il percorso si articola in venti capitoli e prende le mosse dalla Scuola siciliana e dai toscani del Duecento. Segue Dante Alighieri, in cui si realizza, secondo De Sanctis, una perfetta fusione di etica ed estetica, già incrinata di lì a poco dal Petrarca del Canzoniere, in cui prevale «il culto della forma per se stessa» accanto a «un risorto paganesimo». Nonostante i pregi di Ariosto e Machiavelli, in cui trionfano rispettivamente «il puro sentimento dell’arte» e la conciliazione di quest’ultima con la vita e con la scienza, l’età umanistica e rinascimentale segna l’avvio di una degenerazione accademica, che allontana i letterati dal popolo e si accentua all’insegna di un vuoto formalismo nel periodo della Controriforma e del Seicento, sino all’Arcadia. Il riscatto nazionale affonda invece le proprie radici nella nuova scienza – di cui sono artefici Galileo e Campanella, e precursore Machiavelli – e nella nuova letteratura, inaugurata nel Settecento da Goldoni con il recupero del vero e del naturale, e poi dal «pedagogo» Parini, «indipendente e solitario e inaccessibile alle tentazioni e a’ compromessi». Infine, mentre Monti incarna la persistenza dei vecchi difetti nazionali, Alfieri e Foscolo preannunciano lo spirito dell’età rivoluzionaria e risorgimentale, Manzoni riconcilia il cristianesimo con l’Illuminismo e la religione con il pensiero moderno, e in Leopardi si affermano lo scetticismo e il senso del mistero, che lasciano tuttavia «inviolato il suo senso morale». In definitiva, per De Sanctis la nostra letteratura non si sviluppa attraverso un percorso lineare: in Manzoni e in Leopardi si ricompone quell’unità di contenuto e di forma che si era realizzata nella poesia dantesca. Ma il suo schema fa riferimento a una fede laica nei progressi dello spirito umano.

Saverio Altamura, Ritratto di Francesco De Sanctis, 1890. Napoli, Museo Nazionale di San Martino. 

Saverio Altamura, Ritratto di Francesco De Sanctis, 1890. Napoli, Museo Nazionale di San Martino.