Carlo Levi
Medico piemontese tra i fondatori del gruppo antifascista Giustizia e Libertà, Carlo Levi (1902-1975) viene condannato dal regime fascista a trascorrere due anni di confino in un paesetto della Basilicata tra il 1935 e il 1936 a causa della sua attività antifascista. Da questa esperienza ricava il romanzo Cristo si è fermato a Eboli, che conoscerà il successo nel dopoguerra. L’interesse di Levi si rivolgerà poi con altri due romanzi alle trasformazioni che stanno avendo luogo nel dopoguerra nel mondo rurale della Sicilia e della Sardegna. Cristo si è fermato a Eboli, scritto in forma di diario, è la testimonianza dell’incontro dell’autore con un mondo contadino, e la scoperta di come la vita di questi uomini e queste donne sia degna di rispetto ed esprima una cultura antichissima che rende possibile, con le sue tradizioni, le sue leggi, le sue pratiche, portare avanti un’esistenza che altrimenti risulterebbe insostenibile.
Cristo si è fermato a Eboli (1945)
In Cristo si è fermato a Eboli, scritto negli anni della guerra e pubblicato nel 1945, la rappresentazione delle problematiche del Sud scaturisce dallo sguardo di un osservatore “esterno”, perché l’autore è un medico e pittore piemontese condannato a trascorrere un anno al confino in un paesino della Basilicata, tra il 1935 e il 1936, a causa della propria attività antifascista. Il romanzo contribuì a riportare al centro del dibattito politico la “questione meridionale”.
Levi, che narra in prima persona, descrive i propri stati d’animo e le proprie riflessioni, ma soprattutto ascolta le voci di un mondo che gli è estraneo e del quale rispetta la ricchezza culturale. I contadini lo stimano come medico, e in quanto tale egli entra nelle loro povere case, stabilisce contatti, comunica con loro e ne scopre la mentalità magico-sacrale, specialmente attraverso i comportamenti e i racconti di una strana figura femminile, Giulia, una donna di liberi costumi ritenuta una strega. La scrittura di Levi oscilla continuamente tra l’annotazione diaristica e il reportage antropologico; e la sua rivelazione consiste proprio nella consapevolezza che il mondo contadino non è soltanto arretratezza ed emarginazione, ma possiede una sua cultura autonoma, che ha diritto di esprimersi.
La tematica sociale e il Meridionalismo
Nella narrativa italiana degli anni Trenta risaltano le opere di alcuni autori in cui emerge una denuncia delle condizioni di arretratezza in cui sono confinate le popolazioni che vivono nelle regioni meridionali e, nello stesso tempo, una forte tensione etica, che si traduce anche in impegno civile e politico. Si tratta di romanzi ispirati a un Realismo sociale che assume diverse declinazioni negli autori più rappresentativi.
Corrado Alvaro fu la voce di una narrativa meridionale che negli anni del fascismo riproponeva con moduli originali i temi della diseguaglianza e dello sfruttamento, con una sensibilità sociale che nascondeva una critica implicita – ma talora dichiarata – alla retorica del regime. L’opposizione politica diventa aperta e motivata nell’abruzzese Ignazio Silone e nella sua aspra denuncia della condizione contadina.
La città e le contraddizioni della nascente realtà industriale e la difficile crescita di una coscienza di classe sono lo sfondo dell’opera di Carlo Bernari. Il torinese Carlo Levi dedicò alle plebi della Lucania il suo capolavoro, scritto negli anni della guerra a seguito del suo lungo confino – come antifascista – in quelle terre.
Sul piano stilistico prevale, in questi autori, la ricerca di una lingua depurata dai virtuosismi e da un’artificiosa eleganza, attraverso una sintassi per lo più breve e poco articolata, che a tratti richiama la “viva voce” dei personaggi.